MUORI MILANO MUORI! di Gianni Miraglia

Oggi – 16 novembre – parte Babel, festival di editoria, musica e persone indipendenti a Genova.

Tra le performance in programma stasera alle 22, ci sarà anche il reading di “Muori Milano Muori!” (Elliot) di Gianni Miraglia. Ve ne proponiamo un estratto, intensificato dalle illustrazioni di Gianluca Costantini tratte da un fumetto intitolato “Ex Macello”  – pubblicato sull’antologia inguineMAH!2009 (Comma 22) – e colorate in esclusiva per Piovono Pietre , e dalla colonna sonora voluta dall’autore Milano Double Standard dei Casino Royale.

Di Babel, tra i tantissimi, saranno ospiti anche Marco Philopat (leggi il racconto tratto da Roma K.O.) e Wu Ming 2 (leggi il racconto tratto da Altai).

Leggi tutto il programma di Babel

 

 

Non lo chiamo mai per nome, ha con sé una bottiglia di vino impolverata e senza etichetta per qualche grande occasione. Futuro e passato glorioso, nella famiglia che avremmo ancora avuto. Scambi d’affetto. Due persone condannate si capiscono meglio. L’ha aperta senza cavatappi con un coltello che tiene in tasca. Poche dita di lama, la lunghezza consentita, vino che s’inspessisce in gola. Non sento il gusto, metto le labbra dove le appoggia anche lui. Mi gira la testa perché non bevo acqua da un po’, sono disidratato e ho perso l’abitudine. A casa c’era la San Gemini, perché della leggerezza giusta. Cammina strisciando i piedi e come sempre lo seguo.

 

Superiamo una palestra dai finestroni vuoti e le cyclette rovesciate. Lui era abbonato, conosceva il magazziniere che gli passava gli asciugamani strappati, fino a poco tempo fa ci entrava per farsi la sauna. Si vedono i fuochi, siamo nei pressi dell’ex-campo rom. Un po’ di persone, comunità incastrata tra le impalcature dei parcheggi e la radura ancora libera da esperimenti edili. Irrompiamo nella sacralità macilenta di una grande famiglia stanca che armeggia tra bottiglie, spago, giornali. Ci sono tanti cani, stanno proprio bene all’aperto, ma rischiano il sequestro da qualche assl. Sono liberi anche loro da casa, però non hanno il veterinario e muoiono prima. Il pastore tedesco che avevo da bambino è stato dato via perché abbaiava troppo ed era tanto vivace. Una ragazza con il cappello da montagna porge il biberon a uno dei cuccioli. Più lontano c’è anche una scimmia che zoppica e non salta, sta ferma perché è vecchia mi dice l’uomo dei trolley.

Tra i colpi di tosse, la voce dei sopravvissuti, la fine è sempre negli altri, scienziati pazzi studiano le relazioni umane, si fanno esperimenti sulla longevità. Tutti salutano l’uomo dei trolley, faccio girare la bottiglia della pace, nessuno mi chiede niente. Il cucciolo nero piscia sulle colonne dove c’è il divieto. L’ho battezzato Rudy, il nome del cane d’infanzia. Carezzo, l’unica cosa che riesco a fare. Non ho ruoli, devo essere prima accettato. Metto in mostra l’affetto per il cucciolo, mi adeguo alle aspettative. Spero di mangiare e non avere freddo, che non piova. La ragazza con il cappello paraorecchie tergiversa fino a me. Un collo appendice della testa e che affonda nel busto, quel biberon che agita prima dell’uso, il cane si chiama Lefty, non so se con la y finale. Ex-donna coperta di strati e vero disagio. Ti trasformi quando la normalità si allontana, sparita dai sì e dai no della quotidianità che salva il culo e dalla fame, ma lei respira e carezza il cane e si emoziona, sorride e cerca la pace. Mi parla del suo cane, che è bravo e bello, lo chiama figlio. Confermo che è un bellissimo cucciolo. Le racconto che ne avevo uno. Un uomo si avvicina, estraneo alle sue parole e senza volontà. Monta una tenda, lei gli ricorda che non vuole le pietre sotto. Tre secondi ci vogliono e ora raccoglie gli oggetti sparsi a terra. C’è un legame fra loro, lui fa cose per lei, elemosina per lei, raccoglie mozziconi per lei. L’uomo ha finito e le si siede accanto, gli porgo l’accendino. Ringrazia gentilmente, pochi denti rimasti sani. Non racconto come ho perso tutto, non esisto oltre quei secondi di fiammata Bic.

Dal mio zaino tiro fuori un avanzo di cibo. Mangiamo, cibo tutto in bocca, al cane arrivano degli avanzi. La mia presenza sta prendendo corpo, gradualmente e lentamente, come si fa tra animali, tra creature pure che abbiamo dimenticato. Ho energia e lucidità, resto lì tra loro, ancora condizionato dalle giornate nutrite. La crociata degli straccioni, da qualche nozionismo scolastico che ho perso nei ricordi imposti. Disperati raccattati dal Papa per combattere o invadere gli arabi, che forse erano pacifici ed evoluti. I miei professori erano figli del sessantotto e non hanno mai spinto alla riconquista di Gerusalemme. L’uomo dei trolley è seduto, trova spettatori fra i transfughi che si stanno già fasciando nei sacchi a telo. Sta raccontando di un altro amico speciale, un personaggio scomparso dalle tele locali del nord. Compariva allo schermo nelle notti afose, c’erano applausi sperticati, una ex-spalla di Massimo Boldi. L’attenzione è un dono che non ti puoi aspettare in questo campeggio per deportati, attorno ci si prepara all’inverno che è ogni notte. I sacchetti anche se vuoti sono oggetti indispensabili che vengono custoditi sotto le tende, se no arrotolati a dei tubi da impalcatura abbandonati. Tra un anno si dovrebbe completare la costruzione dell’avveniristico tunnel che si collegherà alla nuova ala del silos. Do una mano alla ragazza col cappello da montagna che mi chiede se può tenersi il sacchetto usato per la bottiglia di vino. Lo infila subito nel passeggino nascosto nei vicoli fra le tende. Si sta stretti come animali, ci si difende dal buio. Trascina fuori il passeggino, un modello Chicco arrugginito e sgualcito. Dentro c’è una bambola, ma è un bambolotto appena nato, capelli gialli e croste sulla fronte, pezzi di plastica che sbucano da un panno, la sua coperta. La ragazza accompagna il bambolotto a prendere aria, ha quattro mesi dice. Canta una canzone perché deve dormire, ottave coperte di catarro che cercano la mia approvazione. Il suo compagno mi chiede come mi chiamo, mentre smonta a memoria il fornello da campeggio. Si allontanano entrambi con una pentola sporca da lavare e delle bottiglie.

Le mie unghie sono tagliate con cura, chiudo le mani. L’uomo dei trolley gesticola e interrompe gli altri. Di nuovo un boato, gli aerei che alcuni salutano con gli accendini. Sporadiche le bestemmie contro quei voli antinuvole, ma non il veleno ideologico che mi porto dietro, che sa di sconfitta perché sto affondando. Loro, creature libere, in quei reattori non ci vedono il potere e le spese insensate per la cornice. È solo fastidio, rumore dedicato, prepotenza a bassa quota sul nostro angolo di cielo, sputi e parole contro chi fa casino. Ci sono anche gli elicotteri dei carabinieri, siamo al culmine dei preparativi Expo che qui però non arriva e non esiste. Le lampade ad olio devono restare abbassate, ci si adegua alle disposizioni nate dal buon senso. Buio per non segnalare la presenza ad altri sbandati di cui non si conoscono le intenzioni. Il compagno della ragazza imbottita è contento per essersi procurato una Peroni stratificata di polvere appiccicosa, tiene stretto il tesoro e lo passa a pochi. Con la disidratazione gli effetti aumentano, ci si sente male, la normalità è non stare sufficientemente bene. La salute è una dote che devi poterti permettere e mantenere. Apro la tenda, che nei tre secondi diventa semisfera ospitale, tutti qui ne posseggono una, single o copie. Mi spetta un angolo senza alberi. L’uomo dei trolley è più in là, vicino al canale. Lui mi ha detto che tutti qui sono già prigionieri, che quando sono in gruppo gli uomini ricreano ruoli e dinamiche impositive. Chi sta sopra, chi sta sotto e altre considerazioni così scontate. Per pisciare devo dirigermi oltre il quadrato delle tende perché se no poi c’è puzza e si lamentano. La ragazza imbottita mi viene a salutare, dice che porta a dormire i suoi piccoli, si raccomanda di avvisarla se ho bisogno. Ma non se ne va. Resta lì con la voglia di altre parole. Ipotizza il bel tempo per l’indomani e che qui attorno ci siano le fragole selvatiche e gli scoiattoli, ma loro non li uccidono come quelli di prima. Mi dice che i rom se ne fregavano quando il sangue degli animali restava sul terreno. Gli animali hanno uno spirito, vanno in paradiso e credono in dio come noi, annuisco e ascolto con l’interesse che s’aspetta. Dice che la sorte è comandata dalla nostre azioni quotidiane, che lei cerca sempre di fare del bene, che se non se lo si fa tra di noi è la fine. Devo sapere che la fortuna in questo villaggio è sempre una buona compagna. Mi chiede se ho un numero fortunato e le rispondo di no. Mi fa promettere che ne troverò uno, meditato col cuore. Strappa un pezzo di carta da un notes e me lo dà. Mi augura la buona notte.


La batteria del cellulare è scarica e mi sento ancora più isolato. Non ho mangiato e sto sdraiato in tenda. Non mi allontano da qui, il campeggio abusivo che non piace agli abitanti della zona, forse ho la febbre, a volte è per la stanchezza, e che accumuli tensioni. Oggi c’è il sole e fango dappertutto che stanotte ha piovuto come da programma. Ti raccontano storie di sopravvivenza e un passato competitivo, di qualcuno so il nome e qualcosa su quello che sapevano fare. Alcuni hanno ancora dei biglietti da visita, anche uno con un lavoro simile al mio, esperto in dem, le mail da mandare ai clienti dei grandi marchi. La ragazza col cappello imbottito viene da me. È stata vittima di un affidamento, dice, ma il giudice deve ancora stabilire a chi spetta la potestà genitoriale. Non si fida del mio dirimpettaio, abbassa la voce fino a farla scomparire. Anche il figlio di plastica è con lei, lo tiene in braccio e sta dormendo, me lo fa accarezzare. Gli occhi del suo compagno sono su di noi, è steso a terra e beve. Ci dirigiamo alla pozzanghera dove vuole fare giocare il figlio. Si fa una sigaretta con l’avanzo di tabacco Samsom. Nascosta dalla visiera imbottita, gocce di sudore sul collo. Afferra il pezzo di plastica dal passeggino, ci vuole delicatezza. Gli leva il vestitino, c’è la cassa del mini amplificatore, di quei modelli capaci di dire mamma. Gli piace l’acqua mi sussurra, siamo fatti di liquidi, conosce la percentuale giusta degli adulti e dei più piccoli. L’incanto della sua nostalgia procreativa è bruscamente interrotto dallo scheletro di una risata che diventa tosse. La voce sdentata di uno che vuole una sigaretta, la sua pelle gonfia di eritemi, giovane come la sua ragazza piegata su se stessa. Ridono della scema col bambolotto in braccio e anche di me, ci puntano il dito. Dei cani con loro, cuccioli perfetti, quei musi rotondi che si raccontano ai bambini e le zampe appoggiate sugli zaini. La ragazza imbottita mi prende la mano, andiamo via da quei due, calpesto senza volere i loro stracci e mi insultano.

Ci siamo lasciati dietro i ragazzi con la A dell’anarchia sulle maglie, i punkabbestia che sono sempre stati lo strumento per condividere indignazione con mia moglie, così mi si offriva un ruolo. Le dicevo che non bisogna dare niente a quelli, perché se rifiuti la logica capitalista non puoi pretendere soldi dagli inquadrati che si sbattono tutta la giornata. Era come parlare bene di noi due, lei in qualche modo annuiva e ci si sentiva in sintonia. La ragazza imbottita bisbiglia all’orecchio del bambolotto che dovrebbe ringraziarmi per averlo difeso da quei due. Mi prende di nuovo la mano e mi chiede se ho scoperto quale sia il mio numero fortunato. Parto da lontano, le rispondo che mi sto segnando le cifre, che ancora devo trovare quella che ho veramente dentro. Lei è soddisfatta per la mia sensibilità, mi dà un bacio sulla guancia.

Degli uomini sono arrivati al campo su pulmini shuttle Hammer, brandizzati Maya Resort, verde pisello: squadre con la pettorina dello stesso colore e la scritta Maya Resort Security. Hanno sistemato le transenne, un perimetro divisorio che sprofonda tra i rovi e la spazzatura di questo avanzo di natura tra palazzi senza finestre. C’è anche uno degli exbuttafuori del Plastic, c’è da proteggere l’incolumità del carico di passeggeri che sta saltando giù dagli shuttle. Rumorosi e paonazzi, pance e culi larghi, sono tutti su di giri. Uomini e donne che ridono e gridano in russo. Mi avvicino allo sbarramento, l’ex-buttafuori scopre che sono io. Si leva il cappello e mi stringe la mano, forse imbarazzato. Non chiede come me la passo. Cerco di stare eretto e spero di non puzzare da dare fastidio. Mi racconta cosa sta per succedere. Non è soft-air, ma paint ball. I miei nuovi compagni mantengono la distanza, neanche l’uomo dei trolley si avvicina. Mi guardano, ci guardano. La security presidia il tavolo con il buffet che viene riempito di cibo che nessuno sta mangiando. Gli spari sono iniziati, sputi d’aria compressa e le corse sguaiate dei partecipanti alla guerra colorata, rotolano sporchi di inchiostro blu e anche rosso. Il sangue versato per ora è più rosso che blu, sta vincendo la squadra blu, tutti tengono per i blu. Indico all’ex del Plastic la mia nuova città e i miei nuovi vicini. C’è sarcasmo sul destino da parte mia. L’uomo dei trolley si avvicina, è diffidente e sorpreso. Chi può parlare alla pari con uno della security e con qualsiasi esistenza precaria si guadagna il rispetto. Ne avranno per qualche ora, sono turisti a cui l’albergo ha organizzato il pomeriggio degli spari paintball, ma questa volta non si pretende l’iperrealismo, è solo un gioco. Sono russi e il tema è la guerra terroristica, in pullman si sono divisi a squadre. Alla terza chiazza di colore esci fuori, sono frazioni di un quarto d’ora con rivincita e bella. I concorrenti eliminati possono favorire del catering, pizzette, salmone, vino di marca che ora viene schierato sul tavolo. Le transenne contengono la folla dei disperati che puntano al cibo, chi ha fame è indifferente alla guerra. Gli esiti di chi cade dipendono dalla pace. I rampolli dell’ex-partito sovietico ignorano chi brancola ai margini, lo facevo anch’io, lo facevamo tutti. La vita è imprevedibile.

Gli affamati premono alle barriere, ma le guardie hanno i manganelli, l’ex-buttafuori non parla più, respingono i più insistenti, le regole sono regole. Scoppia una discussione tra due dei contendenti colorati che poi diventano tre, spinte e minacce senza sottotitoli, i fucili coi serbatoi cadono a terra e spandono vernice rossa e blu che si mischia nel fango. Il turista grasso e rasato con la scritta Checenya sulla tuta recupera un’arma e spara da distanza ravvicinata e il suo rivale rotola per terra urlando. Accorrono i compagni, le guardie abbandonano le transenne e intervengono per sistemare e rappacificare. Via libera per l’invasione famelica diretta al tavolone imbandito che per la foga e la fretta viene rovesciato. Un cecchino dei blu inizia a spararci, un proiettile mi colpisce al polpaccio e non fa così male, rivoli appiccicosi dentro gli scarponi che non sono antiguerra. Anche i suoi compagni e contendenti puntano le armi su di noi e iniziano il nuovo gioco del tiro al barbone. Prevede che noi ce ne freghiamo e mangiamo tutto, mentre loro possono spararci. Le guardie intervengono nei modi più gentili possibili, non va fatto, it’s forbidden. Alla fine convincono i turisti esausti e soddisfatti a risalire sul pullman. Ci salutano, alcuni lanciano verso di noi il cibo distrutto, le fette rimaste, sono traiettorie gentili come si fa allo zoo. L’ex-buttafuori mi dice di aspettare. Ci vuole lasciare gli avanzi integri. Mi informa anche del lutto che ha colpito Pietro Koch, tutti se lo aspettavano e pare che lui non potesse più comprare le medicine. Tra due giorni ci sarà la cerimonia d’addio, invitati solo quelli del bar. L’ex-buttafuori aggiunge che Pietro Koch è in cerca degli esplosivi per pareggiare i conti, anche sua madre è vittima di Milano avida che stavolta pagherà.

 
 
GIANNI MIRAGLIA è originario di Genova e vive a Milano. Il suo primo romanzo, Six Pack (Arcana, 2008), è diventato un vero e proprio libro di culto. Collabora regolarmente a varie riviste tra cui «GQ» e «Rolling Stone». I suoi status su facebook sono famosi tra i frequentatori italiani del web.
 

GIANLUCA COSTANTINI è un disegnatore e artista visivo che indaga il reale da più di 15 anni. Insegna Arte del Fumetto all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Vive a Ravenna. In collaborazione con l’Associazione Culturale Mirada organizza il Festival di fumetto di realtà Komikazen. E’ direttore artistico di G.I.U.D.A. Edizioni.

RockIt