ALTAI – PRIMO INTERLUDIO di Wu Ming
Piovono Pietre vi fa entrare nell’atmosfera di Babel, festival di editoria, musica e persone indipendenti (Genova dal 16 al 18 novembre), di cui abbiamo scritto nell’articolo precedente, con uno speciale sui reading del festival composta da tre racconti. In esclusiva, pubblicheremo gli estratti di Altai di Wu Ming (Einaudi), Roma KO di Philopat (Agenzia X) e Muori Milano Muori di Gianni Miraglia (Elliot), con una colonna sonora in streaming scelta dagli autori e le illustrazioni del fumettista e graphic journalist Gianluca Costantini, direttore artistico della casa editrice G.I.U.D.A. che sarà ugualmente presente a Babel nello spazio dedicato alle autoproduzioni.
Partiamo con Altai – Primo Interludio di Wu Ming, le illustrazioni tratte da “L’ammaestratore di Istanbul” di Gianluca Costantini (Comma 22) e la musica dei Contradamerla che accompagneranno il reading di Wu Ming 2 anche dal vivo, sabato 17 novembre alle 16.30 al Palazzo Ducale di Genova. Buona lettura!
Il viaggiatore del mondo
Fuori dall’Europa, Rabi’al Awwal – Shabban 977
(settembre 1569 – febbraio 1570)
Il vecchio rilegge la lettera. Segni sulla carta, affidati da una donna a un agente di commercio. Parole che da Costantinopoli hanno viaggiato alla volta dell’Egitto in fondo a una bisaccia, poi fino al Mar Rosso a dorso di cammello, quindi di nuovo su un legno veloce, sospinte da correnti favorevoli, per toccare infine le sponde dell’Arabia Felix, duemila miglia a sudest delle acque del Bosforo.
Mokha. Città del caffè, crocevia conteso e condiviso da arabi, turchi, abissini, portoghesi. Mokha, teatro di una ribellione, per mesi occupata dagli insorti. La flotta imperiale ha appena ristabilito l’autorità di Selim II, e i ribelli sono fuggiti sugli altipiani. Non sono guerrieri, ma coltivatori di caffè che hanno impugnato le spade e la fede sciita, stanchi delle ruberie, della corruzione dei funzionari ottomani. Di nuovo una rivolta di contadini. Di nuovo la religione dei pezzenti… e degli affari.
Il vecchio è rimasto. Il tempo di andare e partire appartiene alle sue vite precedenti. Almeno così credeva, prima di quella lettera.
Rimira la firma, ne osserva il tratto incerto, non più fermo come un tempo, quando si sognava accanto a quella donna fino all’ultima stagione della vita.
Difficile dire quando le loro strade abbiano preso a separarsi. Un giorno ha chiesto di poter seguire i commerci da quella stazione in fondo all’Arabia, e non ha ricevuto un rifiuto. Lei non ha posto obiezioni. Sapeva, aveva sempre saputo che il viaggiatore del mondo non può fermarsi, c’è sempre un altro luogo da vedere prima di chiudere gli occhi, un posto sconosciuto dove essere sepolti. Che il vecchio Ismail se ne andasse per la rotta del caffè, era scritto nel suo destino.
Eppure, ora lo invita a percorrere quella rotta a ritroso. Prima che sia tardi.
Possono le parole smuovere una montagna? Perché questo è il vecchio, un blocco di roccia eroso dal tempo, che la missiva vuole trarre dal suo alveolo, nel più remoto angolo dell’impero.
Il vecchio si muoverà, ma dovrà attendere che venga l’inverno, e con esso il monsone che soffia verso nord. Le carovane del caffè scenderanno dai monti come serpenti attirati dall’acqua, e le navi di Yossef Nasi, sazie di merci e allineate lungo il molo, aspetteranno il momento di partire. Le vele aguzze delle feluche risaliranno il Mar Rosso fino a Suakin, città di corallo, dove i barconi di Suez caricano schiavi e tesori speziati.
Attendere il monsone. Soltanto questo ritarda il viaggio? O c’è anche il timore di affrontare il passato, il peso del chiudere i conti di una vita, la paura di vedere nella morte dell’amata la fine dei propri ricordi?
Viene l’inverno, e il vecchio può dedicarsi al bagaglio. Quand’era più giovane, quel rito scandiva i suoi giorni.
Mette in una sacca i fogli scritti di suo pugno, e d’impulso si tocca in mezzo al petto. Sotto la stoffa sente la sagoma dell’antica moneta, con inciso il credo del regno dei folli: «Un Dio, una fede, un battesimo».
Le sue vite passate sbiadiscono e non sa cosa lo attenda. Intorno a lui i contorni si fanno vaghi. Perciò porta con sé le parole, tutte quelle che ha vergato nel corso degli anni.
Non basta.
Prende anche un frammento di specchio, per esser certo di riconoscersi alla fine del viaggio.
Prende con sé le pistole e i due gemelli Hafiz e Mukhtar, silenziosi e taglienti come lame.
Ali Hassan annuncia che andrà con lui. L’asceta amico di Dio ha già preparato la sacca.
Giunti a Suez affidano il carico di caffè agli agenti locali della famiglia Nasi poi ripartono, con una carovana di cammellieri diretta ad Arish, dove salpano le navi per la Terrasanta.
Nell’oasi di Elim, tappa degli israeliti in fuga dal faraone, il vecchio cade malato. Ali lo veglia per tre giorni e tre notti di febbre e delirio, e quando pensa di averlo ormai perduto, l’amico guarisce e possono riprendere la marcia.
Il viaggio per nave da Arish a Haifa ritempra le forze. Dio elargisce cielo terso e venti propizi. A Haifa comprano dei dromedari, pagandoli il doppio del loro valore. Ali prova a protestare, ma il vecchio scrolla le spalle: i soldi sono suoi e la febbre ha già fatto perdere giorni preziosi, non c’è tempo per contrattare.
È un tragitto silenzioso, come se l’indole taciturna del vecchio avesse contagiato tutti quanti.
Tiberiade appare come un miraggio, sfumato dalla foschia del mattino. Alle spalle della città, il lago riflette il grigio del cielo. Oltre lo specchio d’acqua, i monti del Golan chiudono l’orizzonte.
Davanti all’arco d’ingresso in città devono dichiarare nome e provenienza a un picchetto di giannizzeri, che li squadrano diffidenti. Altri soldati presidiano le mura e il mercato. Lasciano le cavalcature e accettano l’acqua che viene loro offerta.
Sceso di sella, il vecchio stringe i denti per non gemere. Si fa forza, impugna il bastone e, accompagnato dagli altri, prende a camminare in mezzo a voci, lingue e dialetti di ogni angolo del Mediterraneo e del Levante.
Trova la casa di Gracia Nasi senza bisogno di farsela indicare. Un edificio spagnolesco fa mostra di sé ai margini della piazza. Affacciato a una finestra, un uomo li osserva avvicinarsi. Il vecchio lo interpella dalla strada, si presenta, dice di essere lì in visita a donna Gracia Nasi.
L’uomo strizza gli occhi e lo guarda a lungo, come per valutare il senso o la sincerità di quelle parole. Infine risponde con voce impastata di tristezza.
– La Senyora aveva detto che sareste venuto. Vi ha aspettato fino all’ultimo.
Solo una lapide priva di scritte, in pietra grezza, segnala il piccolo tumulo.
Yossef Ben Adret, l’uomo che li accoglie, amministratore della colonia, ha il volto segnato dal lutto recente. La Senyora ha voluto una tomba anonima in mezzo alle altre, perché il suo sepolcro non diventasse oggetto di venerazione.
Sono stati i contadini di Tiberiade a rivolgerle l’invito. Quando hanno saputo che era malata e che Dio stava per accoglierla nella sua pace, l’hanno pregata di venire a morire lì, nella valle dove insieme risorgeremo, quando il Messia verrà per salvarci. Negli ultimi tempi si era distaccata dal mondo, i suoi pensieri erano solo per Dio. Quando si è spenta, un tuono ha scosso il mare di Galilea, poi un temporale ha battuto la terra con una forza mai vista.
– Mai più il nostro popolo conoscerà una donna come lei.
Il vecchio si inginocchia accanto alla tomba e mormora parole incomprensibili.
Ben Adret chiede ad Ali in che lingua stia pregando.
– Non prega. Parla la lingua dei fantasmi.
Incredulo, Ben Adret gli chiede chi sia il vecchio.
Lo yemenita risponde: è le storie che racconta. Quando ne ha voglia, il che accade di rado. Di solito preferisce scriverle.
Come mai lo hanno accompagnato fino a lì?
Ali indica i due indiani.
– Li ha riscattati da una galea portoghese, poi li ha liberati. Lo seguono ovunque.
La risposta è monca. Ben Adret attende.
Ali si mette una mano sul cuore.
– Io sto con lui perché Dio, il Clemente e Misericordioso, mi ha assegnato il compito di convertirlo alla vera fede.
Ben Adret non ha tempo di stupirsi, perché il vecchio si volge e lo chiama. Gli chiede di recitare una preghiera giudaica. Nel silenzio, Ben Adret pronuncia le parole. Suoni che fluttuano, suoni puri, e anche chi non li comprende china il capo. Salendo verso Dio, diverranno parole di tutti.
… ul’assaqa yathon l’chayyey ‘al’ma
ulmivne qarta dirushlem
ulshakhlala hekhleh b’gavvah…
Le barche vanno placide sul lago, verso le brulle colline dell’altra sponda. In lontananza si scorgono i frutteti nella pianura.
Terminato lo scarno rituale, ritornano alla dimora dei Nasi. Il vecchio rimane a lungo chiuso in un cupo silenzio. Quando apre di nuovo bocca, è per chiedere come mai, giungendo in città, abbiano visto più soldati che pecore al pascolo.
Ben Adret racconta come stanno le cose. Gli abitanti della regione trattano i coloni ebrei da ospiti scomodi. Prima dell’insediamento vi erano soprattutto cristiani e musulmani. Yossef Nasi ha comprato le loro terre, gli appezzamenti, i pascoli. Ha costruito case e trasferito i coloni. Negli ultimi tempi vi sono state scorrerie di predoni contro le fattorie, e incendi, e minacce. Don Yossef ha convinto il sultano Selim a rafforzare la guarnigione.
– Se la nostra sicurezza dipende dai giannizzeri, presto o tardi finiranno per comandare loro, – conclude Ben Adret con amarezza. – Dovremmo poterci difendere da soli. Don Yossef dovrebbe procurarci le armi, non dei custodi. Ma non vuole contraddire il suo amico Selim e, se le voci che corrono sono vere, le cose non possono che peggiorare.
Ben Adret non aggiunge altro, ma il vecchio lo incalza. Quali voci? Cosa dicono?
Ben Adret esita, sospira, poi risponde.
– Dicono che Yossef Nasi vuole farsi re.
La stanza di Gracia contiene soltanto un letto, una cassapanca di legno intagliato e una poltrona foderata in tessuto di Damasco, abbastanza lussuosa da sembrare fuori posto. L’ambiente profuma di sandalo e incenso.
– La Senyora ha voluto regalare tutto il mobilio superfluo, i vestiti, i libri. Anche gli arazzi.
Ben Adret è in piedi, accanto alla porta. Lascia che sia Ismail a entrare, a sfiorare il letto di morte della donna che tanti anni prima lo fece sperare in un nuovo inizio.
Il vecchio si muove lento, come avesse paura di urtare presenze invisibili. Si ferma davanti a una mensola alla parete, sulla quale campeggiano una Bibbia ebraica e un Talmud. Quest’ultimo ha un aspetto familiare. Lo hanno stampato i librai Usque, a Ferrara, tanti anni prima. Il nome gli strappa un sorriso. Claudica senza bastone fino alla cassapanca e la apre. All’interno, una vecchia coperta di broccato scampata alle regalie ricopre alcuni soprammobili, un tappeto arrotolato e un involto. Lo solleva, slaccia il nodo che lo chiude ed estrae due volumi: una Bibbia cristiana scritta in greco e il Corano. Mentre li ripone, la costa di un terzo libro, molto più piccolo, attira la sua attenzione.
Trattato utilissimo del Beneficio di Gesù Cristo crocifisso, verso i cristiani.
La sera, Ali trova il vecchio seduto sulla soglia, coperto dal mantello che adoperano i mori, dello stesso colore della notte. Non sembra triste, ma gravato dai pensieri e dai ricordi. Lo yemenita non ha mai chiesto della lettera che li ha portati fin lì. Lo fa adesso. Cosa c’era scritto?
– Che stava morendo, – risponde il vecchio. Beatriz, così la chiama, lo convocava a Tiberiade. Voleva vederlo un’ultima volta.
Nient’altro?
Il vecchio rimesta in bocca la risposta, prima di offrirla all’amico. Beatriz lo esortava ad aiutare suo nipote Yossef in un momento difficile.
Ali capisce: il vecchio ha preso una decisione.
– Non torniamo indietro, vero?
Il vecchio si stringe nel mantello. C’è un debito da onorare, dice. Molti anni fa, i Nasi lo hanno tratto in salvo quando la sua sorte era segnata. A ogni modo, aggiunge, Ali non è tenuto a seguirlo.
L’arabo osserva il Cancro, fisso all’apice del cielo.
– Lo sono eccome, – mormora. – Ho anch’io un impegno da onorare. Con Dio, il Sublime e Generoso. Ora è meglio che dormi, vecchio.
Costantinopoli è ancora lontana.
WU MING è un collettivo di scrittori fondato nel 2000 che prosegue l’attività del Luther Blissett Project. Il libro più recente che hanno dato alle stampe è Timira – romanzo meticcio di Wu Ming 2 e Antar Mohamed.
GIANLUCA COSTANTINI è un disegnatore e artista visivo che indaga il reale da più di 15 anni. Insegna Arte del Fumetto all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Vive a Ravenna. In collaborazione con l’Associazione Culturale Mirada organizza il Festival di fumetto di realtà Komikazen. E’ direttore artistico di G.I.U.D.A. Edizioni.