PICCOLI ESORCISMI TRA AMICI
Il 20 aprile è uscito da Habanero/Erga edizioni il primo libro di Michele “Mezzala” Bitossi, frontman della band Numero6, che è uscito lo scorso settembre con un nuovo disco del suo progetto solista Mezzala. Si chiama “Piccoli esorcismi tra amici” ed è una raccolta di pensieri, ricordi e racconti della sua vita privata, estremamente spontanea e settata in un tono spesso intriso di sarcasmo, rabbia, cinismo, quanto ricco di illuminazioni poetiche. Per Piovono Pietre ne abbiamo scelto due estratti e li abbiamo consegnati al grande fumettista Vincenzo Filosa che li interpretasse con le sue visioni in esclusiva. Come colonna sonora, l’autore ha scelto una canzone di uno dei suoi gruppi preferiti: “Fra le immagini” dei Flor. Buona lettura/visione/ascolto.
Sono le quattro meno un quarto di mattina e di dormire non se ne parla proprio.
Mio padre è morto esattamente due mesi fa e tutti gli incubi che immaginavo venissero a farmi visita in questi sessanta giorni li ho conosciuti stanotte.
Le Camel one che sto divorando dalla finestra del salotto non mi soddisfano.
Di conseguenza le privo di una parte di filtro per sentirle finalmente efficaci.
L’ultima volta che l’ho fatto erano le nove circa di mattina del il 4 luglio 2001.
Davanti all’aula M della Facoltà di Lettere moderne la tensione era appollaiata a una stella che non aveva alcuna intenzione di cadere a metà di Via Balbi.
Due ore dopo circa mi sarei laureato.
I pieni voti con tanto di lode che un’assonnata commissione mi avrebbe assegnato non sarebbero stati sufficienti per riempire di buon umore quella giornata e quelle a venire, visto l’esiguo quantitativo di motivazioni con cui scrissi una tesi comunque più che dignitosa su Nanni Balestrini.
Contattai Nanni via mail senza molte aspettative per la verità.
Non mi sono mai fatto troppi problemi ad approcciare personaggi di una certa levatura con l’obiettivo di coinvolgerli in un mio progetto. È stato così per Bonnie “Prince” Billy, che ho convinto piuttosto agevolmente a cantare una canzone dei Numero6.
Sulla carta non sembrava un personaggio semplice da avvicinare.
Per non smentire la mia logorrea l’ho approcciato con una lettera elettronica lunga, meticolosa, enfatica, senza alcun dubbio pallosa in cui gli chiedevo di valutare l’idea di collaborare con noi, vista la grande stima che nutriamo per la sua arte.
Dopo una quindicina di giorni mi ha risposto:
«Ok, purché mi fai cantare in italiano».
Pensavo avesse scelto un modo bislacco e surreale di dirmi amico, sai che c’è?: fottiti. Invece no, lo ha fatto davvero. E quello che è venuto fuori è pure molto valido.
Quando dissi a Balestrini che avevo deciso di basare la mia tesi su alcune delle sue opere lui reagì con una buona dose di stupore. Era lusingato, si vedeva.
Sto cercando di prendere tempo ragazzi. Inizialmente avrei voluto mettere in piazza almeno qualcuno degli incubi che hanno massacrato questa notte. Poi ho divagato. Ma è servito perchè adesso sto un po’ meglio. Piccoli esorcismi tra amici.
I batteristi hanno tutti lo stesso problema.
Quando suonano in un gruppo (parlo dell’essere membri effettivi di una band non turnisti prezzolati al servizio del gattopanceri di turno) è molto ma molto raro che adoperino il loro strumento in reale funzione dei brani a cui, almeno teoricamente, stanno lavorando insieme a quei martiri dei loro colleghi.
I batteristi sono iperconcentrati su tamburi e piatti e viaggiano a centosettanta allora su corsie d’emergenza incuranti dell’atmosfera che mi sto sbattendo per creare e del fatto che la mia pazienza ha tutto tranne le maniche larghe.
Porca di quella troia infame e balorda.
Tengo duro spinto da una fede incrollabile nel soprannaturale, speranzoso che possa avvenire il miracolo, ossia che quei maledetti improvvisamente si ravvedano, decidano di mettere da parte l’amore incondizionato per l’onanismo e inizino finalmente a farlo, l’amore, concedendosi un po’ senza pretendere sempre e comunque l’appagamento personale.
Più sono dotati tecnicamente più risultano difficili, se non impossibili, da gestire, da contenere.
Ne parlo con uno spossato Gigi davanti a due Weiss medie appena dopo l’ennesima delirante sessione in sala prove alle prese con i pezzi del disco nuovo.
Poi improvvisamente realizzo alcune cose.
Prendiamo Stewart Copeland.
Coi Police era un mostro, un genio assoluto del drumming. Quando però c’era da andare dritti e ignoranti, quando occorreva soltanto spaccare i culi non mi risulta si facesse troppi problemi di sorta. I casi sono due: o Sting sapeva persuaderlo con ricatti, minacce e violenze varie o era il buon vecchio Stewart a essere, oltre che un sublime batterista, anche un enorme musicista.
C’è poco da fare: le aspre battaglie coi batteristi hanno occupato e occuperanno una significativa porzione della mia permanenza sul pianeta terra.
Sarà che il mio background è sostanzialmente pop rock ma per me un batterista, se è contemplato nei piani di una band, deve soprattutto tenere in piedi le canzoni, deve capirle, comprendere cosa è meglio fare, come è meglio farlo, addirittura se è il caso di fare qualcosa.
Una strabiliante assenza su tre quarti di un brano presenziando poi anche solo per una trentina di secondi con un quattro quarti potente e preciso dopo essere entrati addirittura senza fill può essere folgorante, epocale.
Vallo a spiegare a quel santo ragazzo di Ado, di sicuro il più dotato tecnicamente di noi tutti e cinque messi insieme.
Ieri al mio tutto sommato comprensibile suggerimento di cimentarsi in un banalissimo ma efficace tumpatumpa picchiando soltanto su timpano e rullante ha sfoderato menate inaccettabili del tipo sta roba del cazzo me l’hai fatta già fare su quell’altro pezzo dello scorso ep.
Allucinante.
Raccogliere i maroni da terra è stata impresa notevole. Ottimo batterista Ado.
La sua spasmodica ricerca della chicca, del preziosismo a tutti i costi mette tuttavia le mani nel sangue.
O magari è un problema mio che sono sempliciotto. Sarà che da sempre mi sta soprattutto a cuore che le canzoni siano buone nella loro globalità, che funzionino, che arrivino.
Se per raggiungere questo obiettivo mi basta suonare due note dall’inizio alla fine del pezzo lo faccio molto tranquillamente. Che problema c’è?
Non disdegno accordi dissonanti, passaggi armonici ostici, tempi dispari, ci mancherebbe altro.
Li uso tuttavia solo dove la canzone li richiede, mai per sterile vezzo o per dimostrare chissà quale eclettismo. Parlando con Ado mi è uscito un bell’esempio. Gli ho parlato di “Blister in the sun”.
Avrei potuto citare decine di altri brani ma ho scelto quella perché avevamo appena finito di provarne uno mio, scritta sotto l’evidente influenza dei grandi Violent femmes.
In quel pezzo meraviglioso la parte di batteria è tanto tirata quanto elementare. Nelle strofe, alla fine di ogni verso e appena prima dei ritornelli, c’è uno stacco a dir poco basico. Quattro frustate sul rullante, secche e bastarde.
Tata! tata!.
Questa ignorante robaccia contribuisce a caratterizzare enormemente quel brano. È un fatto oggettivo, incontrovertibile. Non solo lo impreziosisce ma, nella sua disarmante banalità, lo rende un capolavoro.
Quei quattro stupidi colpi sul rullante sono puro genio. Volete provare a spiegarlo a quello là? Io temo di non farcela. Sono un po’ demotivato e molto ma molto stanco.
Michele “Mezzala” Bitossi, genovese, è nato una trentina abbondante di anni fa a Torino, dove si è trattenuto per soli tre mesi prima di approdare alla città di cui non avrebbe più potuto fare a meno: Genova. Già fondatore e leader dei Laghisecchi (2 album all’attivo), guida dal 2003 i Numero6, uno dei gruppi indipendenti italiani più stimati e seguiti e con cui ha realizzato tre album, un ep e numerosi singoli nelle vesti di autore, cantante, chitarrista e produttore. È anche ideatore del progetto “Nome”. “Il problema di girarsi” è il suo primo album solista. http://www.mezzala.it/
Vincenzo Filosa nasce a Crotone il 18 Dicembre 1980. Il suo esordio nel fumetto è con “Pere Uva Compilation”, rivista autoprodotta fondata con Nicola Zurlo. Qualche anno dopo, con un gruppo eterogeneo di fumettisti, dà vita al progetto di autoproduzione Ernest. Nel 2007 parte per Tokyo e ci rimane quasi un anno. Inevitabile la collisione con il mondo del manga, che modifica la sua visione del disegno e del ritmo narrativo. Tornato in Italia inizia a collaborare con la rivista Canicola. Nel 2008, per la mostra “Una storia come le case senza tetto”, ritrae i non luoghi e le terre deturpate della provincia calabrese. Ha collaborato alle antologie “Futuro Anteriore”, “Zero Tolleranza”, “Crack Antologia” e con diverse riviste, tra cui “Spaghetti”, “Epoc”, “Lamette” e “Domus”. Traduttore, grafico e letterista, attualmente lavora al suo primo libro, una guida di Tokyo noir per sprovveduti che uscirà per i tipi di Canicola Edizioni.