SOLDATI

“Soldati” di Marcello Farno apre le porte di un paese piccolo intessuto di chiacchiericci, soprannomi, personaggi strani e scottature sulle mani, dove un’idea bislacca di un giorno d’estate si può trasformare in un’impresa storica. Grazie al racconto denso e all’interpretazione della fumettista Lorena Canottiere con due bellissime tavole, ci immergiamo nella storia, a sfilare tra le strade e a fare le prove di fuga insieme al protagonista, con la colonna sonora dei Raein.

“Oggi ho deciso di diventare oro”, Raein

Armando. In paese tutti lo chiamavano così. E già questo era, di per sé, un’improbabile eccezione. Sentire nel chiacchiericcio da bar domenicale che qualcuno, votato ad offrirgli il caffè, lo chiamasse per nome, in un posto dove l’anagrafe vera la facevano i nomignoli, i soprannomi, diciture araldiche che le famiglie si portavano appresso da anni e per anni ancora, ci faceva parecchio strano.

Soprattutto se sei un ragazzino, preso in mezzo a un’età in cui ancora gli occhi li tieni attaccati come lenti d’ingrandimento che captano l’universo, estranee a qualsiasi sommovimento razionale. ‘I megli occhi ce li hanno i gatti’ diceva sempre N. In realtà voleva che anche i suoi brillassero di notte, ma a me questa cosa non è mai piaciuta. Mi bastava il giorno e poi, di notte, io gli occhi li volevo chiudere, c’avevo paura del buio, delle ombre, dei cani che giù in campagna abbaiavano fino a farsi seccare la gola.

Anche di Armando, a dir la verità, avevamo un po’ tutti paura. Lui era quello del giubbino di pelle nera, degli stivali di camoscio, del ciuffo rosso cotonato. Lo notavi sempre, ci fosse la pioggia, la nebbia, il solleone oppure la neve. E per qualche strano motivo ci colpiva, così nero, così grosso, con la faccia che sembrava scolpita in un marmo di Carrara, spigolosa, ruvida, difficile. Impossibile, ci dicevamo, non avesse neanche il briciolo di un soprannome.

Di Armando in giro non si diceva nulla. Che se vivi in un paese piccolo piccolo in realtà è una cosa un po’ strana. F. aveva anche provato a indagare, lui che aveva il padre che faceva il barbiere, però ne aveva cavato fuori poco e niente. Solo quelle scarse informazioni che già tutti conoscevamo: una moglie, brutta e sulla quarantina, un gatto, bianco e senza apparente nome, e una casa, di quelle col cotto rustico, che sembravano uscire fuori dalle cartoline dei parenti canadesi.

Ma l’idea di tutto quest’interesse era stata di V. D’altronde d’estate, quando si è in vacanza dalla scuola, in qualche modo il tempo lo si deve pur ingannare. E V. quell’estate aveva deciso che, per giocare alla guerra, le sue Superga blu di pezza non gli bastavano più. Voleva gli stivali di Armando. Quelli grigi, di camoscio. Il suo fucile, diceva, avrebbe guadagnato il doppio con quell’abbinamento. Sarebbe stato finalmente uguale a un soldato vero, come quelli dei film. V. aveva una grossissima scottatura sulla mano, e nessuno sapeva come se la fosse procurata. Però già solo quella bastava per consacrarlo come uomo vero, capo ideale di quel piccolo esercito. Zitti e pedalare davanti a V. E a nessuno importava che il piede di Armando fosse quattro volte grande il suo. Lo decidemmo in fretta e in furia che così quelle scarpe, per amor della bandiera, andavano rubate e messe ai piedi di V. E poi sarebbe stata davvero un’impresa di quelle storiche. Soldati veri per l’appunto, proprio come quelli dei film.

Ci attrezzammo diligentemente. Io avevo preso di nascosto una torcia a mio padre e P. invece aveva in qualche modo recuperato due vecchi walkie-talkie. Non credevamo servissero poi così tanto, P. però insisteva e così ce li dividemmo. Uno a me e a N., appostati fuori dal cancello, e l’altro a lui, che faceva il palo all’angolo della strada. V. e F., muniti di pile e cappuccio, sarebbero invece saltati dentro, recuperando la refurtiva e scappando via. Avevamo provato a lanciarci i fischi d’allarme, quelli di sospetto, avevamo pure fatto le prove di fuga. V. era stato parecchio esigente su queste cose. Doveva filare tutto liscio, senza intoppi.

D’altronde, le scarpe Armando era solito lasciarle fuori, sotto il pergolato. Bastava poco. E infatti accadde tutto velocemente. Dentro e fuori nel giro di pochi minuti, ché le scarpe, per un gran botta di culo, erano proprio sul selciato. Non fosse che V. assieme a quelle, stringeva in braccio pure il gatto. Morto.

 

Era stato uno sbaglio, però il gatto aveva iniziato a miagolare e V. aveva portato appresso pure un coltello. Che a volte non si sa mai. E un colpo secco alla gola gli aveva tolto l’impiccio e la paura. Eravamo rimasti fermi sulla strada, col sangue che colava a terra. V. disperava per le scarpe, abnormi di fronte al suo 37. Poi, in casa si erano accese le luci. Era uscito qualcuno e aveva iniziato a urlare. Poi ricordo solo il cuore che mi voleva uscire dal petto, la torcia che cadendosi era ridotta in mille pezzi, P. che correva e piangeva, piangeva e correva.

Tornando a casa, mi riapparvero in mente delle cose che a quell’età, per un buonismo diffuso, sono soliti dirti tutti. Che a far del male agli animali si finisce per andare all’inferno, che cani e gatti sono esseri come noi, intelligenti, astuti, buoni e fedeli. Quel gatto di merda ci stava rovinando tutto, pensai. Era giusto l’avessimo ammazzato. Lo dissi pure a V. il giorno dopo, mentre eravamo a casa sua a lucidar gli stivali, a infilar dentro il cotone.

Mi guardò negli occhi, mi prese la mano. Provai solo un gran dolore. Adesso ero un soldato vero.

Marcello Farno è un collaboratore di Rockit.

Lorena Canottiere inizia a lavorare come autrice di fumetto su il “Corrierino”, “Schizzo presenta” e “Mondo naif”, attualmente pubblica su “Focus Junior”, ANIMAls, Slowfood e con Coconino Press. Nel 1999 realizza con Marco Bosonetto “Rimskij fornaio” per la collana “Schizzo presenta”. Nel 2004 pubblica il fumetto “Non sento”, sull’albo “Sinestesie” e un reportage a fumetti sulla città di Torino sulla rivista “Mondo naia”. Con la casa editrice Coconino Press pubblica il fumetto “Matrioska” sulla rivista Black, la graphic novel “Oche. Il sangue scorre nelle vene”. Nel 2009 apre il blog “ça pousse” in cui pubblica strisce a fumetti su frasi autentiche di bambini. Dal blog quest’anno sarà edita in Spagna e Stati Uniti una raccolta in albo. Partecipa a numerose mostre di fumetto: “Nuvole” a Cremona, “Fumetti di frontiera” ad Aosta, “Fumetta. Le autrici del moderno fumetto italiano” a Spinea, “Futuro anteriore” al Napoli Comicon poi riproposta all’Ilmin art museum di Seul, “Festival international de la bd” di Angouleme. Lavora inoltre come illustratrice per le maggiori case editrici italiane (EL, Fabbri, Giunti, Mondadori, Rizzoli, Piemme).


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