PARTO

Le floride illustrazioni di Giada Florindi incorniciano gli appunti comici e teneri di Capra (componente della band Gazebo Penguins), sullo sfondo musicale di “Capire Settembre” dei Fine Before You Came.

 

“Capire Settembre”, Fine Before You Came

 

Non è che mi capiti tutti i giorni.
Ma negli ultimi due anni mi sarà capitato una ventina di volte. Che mi si chieda di scrivere una roba.
Tendenzialmente non la scrivo. A meno che non sia sotto alle 700 battute.
Oppure riciccio. Ricicciare è bello. Prendi qualcosa che hai già fatto e lo ricicci: a casa mia si dice così.
Una volta avevo raccontato com’era andata la nascita di Ester, che è mia figlia, e quindi com’era andato il parto di Agnese. Ester è nata in casa. Spoilero subito il finale: è nata in bagno. È nata in casa perché Agnese si sentiva più tranquilla che in ospedale, e la vedeva una cosa più naturale.
E, in tutta onestà, è indubbio che sia più naturale. Detto questo, ecco che riciccio.

Molto schematicamente, il riassunto della notte del 10 gennaio 2009, notte in cui Ester è nata. Dal punto di vista del padre.

Ore 15.00: io e Agnese siamo a letto assieme. Come tutti saprete già, nello sperma sono contenute le prostaglandine, che sono un catalizzatore del travaglio. Anche all’ospedale, anziché consigliare un sano e placido amplesso, ti danno le prostaglandine per accelerare il parto.

Ore 17.00: mentre guardiamo Le vite degli altri, Agnese continua ad avere quelle che poi chiariremo essere delle vere e proprie contrazioni, ma che al momento identifichiamo come anonimi stricchi di pancia. Tipo quelli che arrivano quando stai per andare a cagare e ti scappa. Gli stricchi procedono regolari, ogni 7 minuti circa, e la visione del film ne risulta particolarmente frammentata. Pause. Tutto ok? Sì sì. Ok. Play etc.

Ore 20:00: preparo un risotto alla zucca e gorgonzola. Gli stricchi non ci abbandonano. Mangiamo e si fanno le 21.00. Ma gli stricchi cominciano ad essere leggermente più dolorosi. Suggerisco ad Agnese che forse è il caso di chiamare Clara, che sarà una delle due donne che assisteranno Agnese durante il parto.

Ore 22:00: ci siamo spostati dalla sala al letto, e iniziamo a guardare The illusionist. Gli stricchi sono diventati all’unanimità contrazioni. Clara parte dalle colline sopra Porretta Terme per raggiungerci a casa. Noi abitiamo a pochi chilometri da Zocca. Ci sentiamo anche con Chiara, che sarà l’altra donna a far da appoggio ad Agnese durante il parto. Ad entrambe occorre un’ora per raggiungerci. Purtroppo si chiamano Chiara e Clara, e la cosa vi assicuro non fu comodamente gestibile.

Ore 00:00: arriva Clara. L’ha portata il suo compagno. La strada che collega casa nostra alla statale – più un sentiero che una strada – è lunga 580 mt, ed è interamente innevata. Abitiamo in una piccola valle abbastanza isolati. Fuori fa -5°. Io prendo la Lada, che è la nostra 4×4, risalgo lo stradino, faccio le sgommate, piglio Clara, saluto il compagno di Clara, riscendiamo, faccio le sgommate, etc. Abbiamo delle facce strane. Agnese è a letto. Le contrazioni cominciano a far uscire la voce, che al momento è poco più di un lamento. Clara si siede di fianco ad Agnese e sta con lei. La notte sarà gravida.

1:30: arriva Chiara. Prendo la Lada e ancora una volta mi stupisco della luce che la luna piena fa con la neve della vallata. Vado a prendere Chiara alla statale, sgommate, scendiamo. Contrazioni sempre ogni 5 minuti, e gradualmente più incisive. Chiara si mette sul letto assieme alle altre due, e io tremo un po’ per la struttura portante perché 2 notti fa le doghe sono uscite dai binari e mi hanno lasciato a terra. Ma stavolta reggono. Io sto al piano di sotto. Seguo le stufe che rimpinguo di legna ogni 10 minuti, provo a leggere, faccio tisane che nessuno beve. Ogni tanto esco a prendere un po’ di freddo.

2:30: il trio scende dalla camera da letto e si sposta in bagno, da dove non si smuoverà più. La luce nel bagno diventa quella di un’unica candela. Agnese inizialmente si mette sul water, e noto che comincia ad essere meno lucida, più assente. È stanca. Tra una contrazione e l’altra si addormenta. E anche le altre due non è che siano sveglissime. La notte è notte per tutti. Mi chiedono una stufetta elettrica. Provvedo con zelo puntuale, oramai impersonando appieno il mio ruolo di vestale. L’omeopata di Agnese, con cui si cura da anni, si era premurato di farsi chiamare nel momento in cui sarebbero iniziate le contrazioni. Lo chiamo. Mi chiede la dilatazione.

“Aspetta, vado a sentire”. Vado a sentire. Nessuno mi risponde. “Non lo sanno”, dico. “Devono saperlo! Altrimenti non riesco a dirti che rimedi prendere”. “Ti richiamo tra un po’, sento di nuovo”. Torno alla carica.

“Ma… a dilatazione come siamo messi?”, tento. Agnese apre gli occhi, mi fissa in tralice, e sbotta: “Qua nessuno sa la dilatazione. E non ce ne frega niente”. Amen. Non richiamerò più l’omeopata. Per tutta la vita, probabilmente.

3:30: mi sono spostato in cucina. Tento di leggere, ma l’attenzione è deviata dalle urla di Agnese sempre più belluine. Arriva Clara in cucina e guarda un’agenda. Mi dice che la luna cambiava proprio stanotte. Le dico: “Ti parrà incredibile, ma qualche settimana fa mi sono svegliato e avevo sognato che Ester sarebbe nata il 10”. Sorride. Clara sorride sempre. Anche durante il travaglio: Agnese le faceva delle domande e lei sorrideva. Non era una risposta, ma era come una risposta, e più di una risposta.
Comunque: il trio persevera nel bagno. Ma ad un tratto la porta si chiude. E il maschile è tagliato fuori. La cosa più strana è che, al di là delle grida ogni 5 minuti, tra un grido e l’altro sembra che quelle tre donne scompaiano, che il bagno si svuoti, che siano scappate altrove; no, meglio: sembra che siano semplicemente altrove. Poi ricompaiono. Mi chiedono del caffè. Obbedisco.

4:00: ora Agnese grida di più, e più a lungo. Certe volte non sembra la sua voce. Continuo a tenere d’occhio i fuochi (la temperatura in casa oramai è assurda, ma meglio così), vado ogni tanto da Gisella (il cane), e la gatta nera mi viene sulle ginocchia. Ecco: per gli animali di casa sembra che non stia succedendo nulla; nulla è strano. Tutto è normale. Naturale. Fuori c’è sempre questa gran luce.

4:10: a un certo punto arriva Clara dal bagno, mi accarezza una guancia e mi dice che non manca più tanto. “Tra un po’ vieni a sbirciare, che ti facciamo un segno ed entri”. Deglutisco pesantemente, e scopro di avere in bocca un pezzo di zenzero candito: non lo consiglio a nessuno. Sono passate già 13 ore da quando eravamo a letto insieme, e mi sembra assurdo.

4:20: sono dietro alla porta del bagno. Agnese ora parla (e sono le prime parole oltre le urla che le sento dire): “Ah che male. Ma devo spingere?”, e piagnucola. Ovviamente nessuno le risponde. Ma qualcuno sicuramente le avrà sorriso. Tutta la mia saliva si blocca. Agnes non ha paura, questo lo sento nonostante il silenzio. Poi dice: “Non ce la faccio. Non ce la faccio più”, che di solito è il segnale degli ultimi istanti.

4:30: si apre la porta del bagno, e per me è come se si aprisse la porta del Cielo. Clara mi fa un segno, butto giù il magone ed entro. Dentro sembra di stare in Cambogia, tasso di umidità esagerato. E loro sono lì. A lume di candela. Con la stufetta che raglia. Agnese carponi, Chiara che le tiene le spalle, Clara da un lato.

E vedo questa roba, che Tiziano Scarpa descrisse come un mostro a due teste che urla, e subito piango. Uno di quei casi in cui letteralmente si scoppia a piangere – che succederà sì e no 3 volte nella vita. La testa di Ester è già uscita. Ha ancora il sacco amniotico attorno. Ma Agnese le tiene una mano vicino, e la sta accarezzando, le dice cose. Come aveva sognato di fare. So che bisogna attendere la prossima contrazione per farla uscire tutta. Sono preparatissimo. E si attende. Alla contrazione Agnese spinge, ed Ester esce con uno sguiccio che ho visto tante volte nei video del corso pre-parto, ma che ancora mi pare inverosimile. Se ne esce come si fa col calippo un po’ sciolto: una leggera pressione, e sguicc’, fuori tutto.
Agnese si volta, la prende subito in braccio, e le sussurra “Sono la tua mamma”.
Ester è immobile. Sembra non respiri. Agnese le succhia il muco dal naso. Poi anche dalla bocca.
Poi panico. Panico TOTALE per un minuto intero.
Si sa che è normale. All’ospedale gli danno una sberla, i tesoroni. Si sa che bisogna aspettare che tutto si metta in moto. È comprensibile. Come un astronauta che capita d’un tratto in una stanza senza gravità: un minuto ci vuole ad ambientarsi, almeno.
Ma quel nostro minuto è stato eterno, un minuto senza Ester è lungo più di 13 ore di parto, più di 13 anni di vita, e più ancora.
Poi il minuto passa. Ester gorgoglia qualcosa, e mi si sciolgono anche le unghie dei piedi. Ce l’abbiamo in braccio, Clara e Chiara escono e ci lasciano soli. Ha proprio la faccia da vecchia, una vecchina.
È lì, non sembra vero, ma è lì e c’è poco da fare. E solo il verbo essere è in grado di descrivere la faccenda di quel momento. Finché arrivano altre contrazioni. Deve uscire la placenta. Agnese: “Non è giusto però, basta adesso…” Ma è una cosa veloce, siamo ancora abbracciati e la placenta vien fuori. Che è come dire che ti viene fuori tipo un fegato dalla vagina, una roba che non consiglio a nessuno. Però è stata questa placenta a nutrire Ester per nove mesi. E non vogliamo che Ester ne sia privata subito. Così lasciamo placenta e cordone dove sono: si staccheranno da soli quando sarà ora. (E in effetti, al quarto giorno si è staccato da solo, quando l’odorino che emanava cominciava a diventare un tantino urtante.) Mettiamo la placenta in un colino e ci spostiamo in sala. Agnese si siede sulla poltrona, vicino alla stufa, ed Ester si attacca alla sua tetta sinistra.

6:00: siamo stati in estasi per un’ora e mezzo. Fuori ora fa -7°, ma dentro siamo tutti in maniche corte e sudatissimi. Beviamo del vino santo, mangiamo un po’ di torta, qualche biscotto. Poi riaccompagno Chiara alla macchina. Solo uscendo di casa mi accorgo di tutto quello che è successo.
Che tutto è successo, e che è stato un successo.
Il parto come ce lo sognavamo, come Agnese si era sempre sognata. Tutto al proprio posto.
Lascio Chiara sulla statale, accendo l’autoradio.
Parte “No one does it like you” dei Department of Eagles.
Sarà la canzone di Ester, probabilmente per tutta la vita. La mia, almeno.

7:00: abbiamo messo Agnese a letto, e a fianco la vecchina. L’adrenalina è a livelli da arresto.
Io esco a prendere un po’ di legna per la fredda mattina che sta iniziando. Albeggia. Faccio una foto alla valle, apro il cancello alle galline, mi faccio una doccia e vado a letto anch’io.
Ma dormire, con quella grinzosa di fianco, nonostante la stanchezza ancestrale, è davvero impossibile.

Questo è stato il nostro parto in casa. Agnese è stata esemplare, le donne che l’hanno assistita di una discrezione adamantina, il padre… beh, il padre era presente.
Ester è nata. In generale, nel mondo non cambierà granché, però per noi è stata la conferma che il bello, anche se costa fatica, a chi si sbatte per cercarlo, c’è ancora, da qualche parte. In questo caso a Samone, a pochi chilometri da Zocca, in una casa senza vicini di casa, casa Le Brudrie, nella notte del 10 gennaio, proprio quella che avevo sognato.
11.107 battute, esclusa la parola battute e quel che segue.

 

 

Giada Florindi è nata a Treviso nel 1988, ha studiato grafica allo IUAV di Venezia e ora vaga irrequieta in cerca di un posto nuovo dove stare. Si diletta con l’illustrazione da qualche anno, ha all’attivo un progetto editoriale indipendente di nome UHT (http://uht.altervista.org/) e attualmente risiede a Londra.  http://giadafiorindi.altervista.org/

Capra è un componente della band Gazebo Penguins (http://www.gazebopenguins.com/legna/)

 

 

RockIt